Sono passati ormai 83 anni da una delle più disastrose disfatte della Regia Marina avvenuta durante il secondo conflitto mondiale. 83 anni da quella gelida notte in cui persero la vita più di 2300 marinai italiani. Ma facciamo un passo alla volta. Quella di cui sto per parlare è una battaglia che, se pur importante per l’andamento del conflitto, in pochi ricordano, specialmente qui in Patria. Bisogna anche tenere presente che l’episodio di cui parlerò si trova nel mezzo di una guerra che pochi volevano e che non eravamo minimamente pronti a combattere, sia dal punto di vista dell’addestramento che per gli equipaggiamenti. Sono passati quattro mesi dalla disastrosa “Notte di Taranto”, in cui venti aerosiluranti inglesi riuscirono a mettere fuori combattimento tre navi da battaglia italiane alla fonda nel Mar Grande antistante la città; e negli alti comandi della Marina c’è volontà di rivalsa nei confronti della Mediterranean Fleet. Così si decise che a fine marzo del 1941, una grossa forza navale italiana avrebbe dovuto effettuare un’azione di disturbo verso il traffico mercantile alleato nel Mediterraneo Orientale. In quel momento era in piena efficienza solamente la “Vittorio Veneto”, una delle corazzate che, all’entrata in servizio, era tra le più veloci del mondo per il suo tonnellaggio ed aveva degli adeguati pezzi di artiglieria principale (Cannoni OTO 381/50 mm mod 1934) e secondaria (Cannono OTO 152/55 mm mod 1936). Quindi Angelo Iachino, ammiraglio incaricato di compiere questa missione, la sera del 26 marzo del 1941 prese il mare da Napoli dirigendosi verso Sud. A largo della Sicilia, venne raggiunto dalla I divisione incrociatori (composta da tre unità classe “Zara”), dalla III divisione incrociatori (composta da tre unità classe “Trento”) e dalle squadriglie IX, XII, XVI cacciatorpediniere. Successivamente si aggiunsero anche due incrociatori leggeri classe “Condottieri” tipo “Duca degli Abruzzi” provenienti da Brindisi. Nel frattempo gli inglesi, avendo decriptato il codice “Enigma”, scoprirono che una grossa forza navale italiana si stava muovendo per dare la caccia ai loro convogli navali, perciò l’ammiraglio Cunningham prese il mare con tutte le sue forze da Alessandria d’Egitto. A largo dell’isolotto di Gaudo (situato a poche miglia a sud di Creta) , avvenne il primo scontro a fuoco tra le navi italiane e una piccola formazione britannica: gli incrociatori giunsero a portata di tiro, ma le salve sparate da entrambe le parti erano imprecise e il contatto risultò essere un nulla di fatto con entrambe le formazioni che si ritirarono. Le navi inglesi, per ordine di Cunningham, seguirono quelle italiane e si tennero distanti, mantenendo però il contatto visivo con quest’ultime. (durante questo evento, dalla portaerei HMS “Formidable” vennero lanciati dei ricognitori aerei che individuarono la “Vittorio Veneto” – la cui presenza era ancora ignota agli inglesi). Così l’ammiraglio inglese scelse di passare al contrattacco, lanciando una serie di ondate di aerosiluranti per rallentare la corazzata italiana, al fine di raggiungerla con tutta la sua squadra navale per attaccarla. Gli aerei riuscirono a colpire con un siluro la “Vittorio Veneto” sul lato di poppa, che costrinse la nave ad arrestarsi, dato che aveva imbarcato circa 4000 litri d’acqua. Dopo circa 4 ore di avaria la nave poté ripartire a velocità ridotta e l’ammiraglio Iachino scelse di ritirarsi. La sera stessa continuarono gli attacchi lanciati da Cunningham e stavolta ad essere colpito fu l’incrociatore “Pola” che, colpito sul lato di dritta, divenne inutilizzabile per le avarie provocate all’impianto elettrico e alle caldaie. Constatato il pericolo, Iachino ordinò alla I divisione incrociatori di invertire la rotta per soccorrere i naufraghi del Pola – errore che si rivelerà fatale – ormai immobilizzato. In quei momenti le forze navali britanniche erano in avvicinamento ed individuarono sui loro radar le navi italiane che stavano prestando soccorso: giunte in posizione di tiro, le corazzate britanniche fecero fuoco sugli incrociatori italiani, che non ebbero neppure il tempo di reagire. Nell’arco di dieci minuti furono affondate tre navi che erano il fiore all’occhiello della Regia Marina, sia per gli armamenti che per le loro caratteristiche tecniche. Fu così che perdemmo gli incrociatori pesanti “Pola”, “Fiume”, “Zara” e i cacciatorpediniere “Alfieri” e “Carducci”, con oltre 2300 uomini di equipaggio. Determinare i motivi di questa disfatta non è cosa facile: sicuramente l’assenza del radar sulle navi italiane e il mancato addestramento notturno della Marina risultano essere le cause più evidenti. Bisogna però tenere presente anche alcuni errori strategici compiuti dagli alti comandi italiani e da una mancata copertura aerea che era stata promessa sul teatro delle operazioni. Quello che noi oggi dobbiamo fare è ricordare questi fatti e i marinai caduti affinché con ci siano ulteriori Capo Matapan.