I figli del dio dell’inganno sembravano sistemati ed Odino credeva di essere sfuggito al proprio destino; ma credo tu abbia capito come funziona l’ordine cosmico: il Fato trova sempre il modo di fare il suo corso, indipendentemente da quante volte un animale, una persona o un dio provi a modificarlo. Odino aveva provato mille volte ad evitare il suo, e questo era solo l’ennesimo tentativo che lo avrebbe avvicinato sempre di più alla sua morte. Dov’è che ero rimasto? Oh, giusto…
A Fenrir fu concesso di vivere ad Asgard, in pace con gli dèi e, soprattutto, lontano dal palazzo dell’Havi. Il lupo diventava però sempre più grande e sempre più vorace, e così, divenuto lungo come cinque navi ed alto come l’abete più alto delle foreste di Midgard, finì per divorare buona parte dei pascoli degli dèi. Col terrore che diventasse sempre più affamato ed iniziasse a mangiare anche i pastori o i cittadini, nella Grande Sala venne convocato un consiglio per decidere cosa fare del figlio di Loki. Le opinioni sembravano tendere a una sola direzione: uccidere il lupo. Odino però aveva giurato di non ferire né macchiarsi del sangue di Loki, e, di conseguenza, neppure di quello dei suoi figli. Decisero così di incatenarlo e relegarlo sul monte più alto di Asgard fino alla fine dei tempi. L’unico che non si espresse fu Tyr, che partecipava con sguardo triste ed assente; sobbalzò quando accennarono all’uccisione e abbassò lo sguardo quando si decise per l’incatenamento. L’unica cosa che fece fu avvicinarsi al Padre di Tutto alla fine della riunione e sussurrargli: “Sei un folle se credi di poter sfuggire al Ragnarok. Verrà per tutti. Anche per te”. Odino lo afferrò per un braccio, lo tirò a sé e lo ammonì: “Sono rimasto impiccato all’Albero Cosmico per 9 giorni per apprendere le rune. Ho ceduto il mio occhio alla fonte di Mimir per conoscere il futuro. Ho viaggiato per i Nove Regni ed appreso ogni magia ed incantesimo necessario per riuscire a salvarmi. Ho tentato di tutto, a differenza tua e di quegli altri rammolliti, perché io sono l’unico che ha avuto il coraggio di sfidare il destino e di vincerlo. Una volta incatenata quella belva avrò sconfitto il fato e le Norne si inginocchieranno a me. Io ci ho provato e ci sono riuscito. Tu, invece, cosa hai fatto?” e se ne andò, oltre lo sguardo attonito del dio della giustizia. Gli dèi portarono una catena sul monte e convinsero Fenrir ad indossarla con la scusa di una prova di forza, ma, sforzandosi leggermente, riuscì a romperla. Portarono allora un’altra catena, dagli anelli più grandi e robusti, ma anche questa finì in mille pezzi. Nessuna catena sembrava contenere la sua potenza, così Odino chiese ad Ivaldi, il nano che viveva ad Asgard, di forgiare la catena più resistente che potesse creare. Ivaldi tacque e l’unica cosa che fece fu dare all’Havi una lista con degli ingredienti:
La forza di un orso
Il rumore dei passi di un gatto
Le radici di una montagna
Il fiato di un pesce
La barba di una donna
La saliva di un uccello
Se provassi a cercare anche solo uno di questi ingredienti, non ci riusciresti: gli dèi hanno usato tutte le scorte disponibili. Ivaldi diede il prodotto ad Odino. Era un nastro sottile, che chiunque avrebbe strappato senza alcuna fatica, ma ogni volta che si faceva forza questa diventava più resistente. Il suo nome è Gleipnir.
Quando gli dèi porsero il nastro a Fenrir, questo capì che sotto vi era un inganno e così disse: “Mi rifiuto di mettere alla prova la mia forza con un nastro che anche un bambino riuscirebbe a rompere. Portatemi una vera catena e forse ne potremo riparlare.” “Grande Fenrir, – disse Odino – non oseremmo mai ingannare una creatura così forte come te. Questa catena è stata forgiata dai nani solo per te e per la tua forza. Avanti, provala.” “Accetterò ad una sola condizione: uno di voi dovrà mettere il suo braccio nella mia bocca e, se non riuscirò a liberarmi, glielo trancerò. Non mi fido di voi dèi, né tanto meno di te, Padre di Tutto”. Gli Æsir si guardarono fra loro, in cerca di qualcuno che accettasse, quando una voce dal fondo sussurrò: “Lo farò io!”. A farsi avanti fu Tyr, che mise il braccio fra le fauci dell’enorme lupo, mentre gli altri dèi lo legavano. Quando provò a fare forza, il nastro lo tenne a terra. E così fece una seconda volta. E una terza ancora. Quando videro che il lupo non riusciva a liberarsi, tutti i presenti esultarono e si abbracciarono l’un l’altro. Tyr, invece, guardò Fenrir con gli occhi ricolmi di lacrime, lo accarezzò e gli sussurrò solo una cosa: “Fallo…”. Il lupo strinse le fauci ed il braccio del dio venne tranciato di netto. Non gridò. Si volse e tornò verso la città, piangendo per la crudeltà a cui aveva appena assistito. Il serpente, la ragazza ed il lupo erano stati neutralizzati. Odino aveva vinto, era riuscito a sfuggire al suo destino, eppure era preoccupato. Quando vide gli occhi di Fenrir fissi su di lui ed il ghigno sul suo muso, capì: aveva fatto esattamente ciò che era necessario. Aveva confermato l’arrivo del Ragnarok, la fine di ogni cosa, la morte degli dèi e dei giganti, l’inverno dei mondi a cui sarebbe seguita la primavera degli uomini. Odino aveva firmato la condanna di tutti.