Era il 1964, Letizia De Martino, a soli 27 anni divenne la prima donna giudice d’Italia.
Ella è tra le otto donne che riuscirono a superare il 3 maggio del 1963 il primo concorso in magistratura non riservato univocamente agli uomini.
Sembrerà strano, ma soltanto quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione verrà bandito il primo concorso in magistratura aperto alle donne, grazie all’entrata in vigore della legge n. 66/1963 che all’articolo 1 recita: “La donna può accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge”.
Nonostante, infatti, i principi affermati nella Costituzione, nei primi anni della Costituente erano all’ordine del giorno voci come quella di Eutimio Ranelletti che sosteneva che “la donna è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal pietismo, che non è la pietà; è quindi inadatta a valutare obiettivamente, serenamente, saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i delinquenti”.
A chi le domandava “Signorina, lei vuole ammettere le donne alla magistratura! Ma sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano?”, Chicchi rispondeva: “No, ma so che molti uomini come lei non ragionano tutti i giorni del mese”.
Dopo anni di lotte, però, le Italiane e gli Italiani riuscirono a conquistare il rispetto del principio di uguaglianza fra i sessi nell’accesso in magistratura, ottenendo un diritto tanto sudato quanto dovuto.
Concludo con la preziosissima voce di Maria Gabriella Luccioli, un’altra delle vincitrici del concorso in magistratura, che testimonia circa la condizione della donna a seguito dell’entrata in vigore della legge: “eravamo una stranezza, il nostro entrare in un mondo da sempre maschile ci faceva sentire sempre sotto esame. Le donne hanno cambiato il diritto: la diversa sensibilità, il linguaggio, il modo di gestire i rapporti umani, di interpretare la norma e darne concretezza hanno vivificato la giurisdizione. Nel farsi diritto vivente le donne hanno contribuito a profonde innovazioni nel campo del diritto di famiglia, della tutela dei soggetti deboli, del concetto di tollerabilità della convivenza matrimoniale, della attribuzione del
cognome dei figli, della ridefinizione del concetto di violenza”.
I nostri diritti, dunque, così come i nostri doveri, benché garantiti de iure dal nostro ordinamento, necessitano di una continua e instancabile voce, quella degli uomini e delle donne, impegnati quotidianamente affinché i cittadini del domani possano vivere in un mondo più giusto ed eguale.