THE LAST OF US – “Save who you can save”

Quando sei perso nell’oscurità… cerca la luce. Queste le parole ripetute ancora ed ancora all’interno delle puntate della serie tv che è riuscita a diventare il fenomeno di nicchia per eccellenza, facendo centro in tutto ciò che HBO, canale streaming di Warner Bros., e i distributori italiani Sky e Now speravano di ottenere da un tale prodotto, anche in grandissima parte grazie agli attori, un Pedro Pascal e una Bella Ramsey a dir poco perfetti nel ruolo, che sembrava essere stato cucito loro addosso. Con episodi dalla durata che varia dai 42 ai 78 minuti, “The Last Of Us”, serie tratta dal celebre videogioco uscito nell’ormai lontano 2013 dalla casa produttrice Naughty Dog, riesce a coprire tutto l’arco narrativo del primo gioco. Esso ci parla di varie tematiche: la sofferenza di Joel, un uomo che si trova costretto a veder sparire da un giorno all’altro tutto il mondo che conosceva a causa di un’improvvisa e devastante pandemia, e assieme ad esso sua figlia; la sua eterna lotta per restare a galla; la sua lenta e lacerante rinascita portata da una ragazzina poco più che adolescente, Ellie, il cui cuore arde di una fiamma di speranza. Questa sua caratteristica non si limiterà affatto al suo animo, ma anzi, sarà determinante ai fini della trama: lei, dopo anni di sofferenza, porta all’interno di sé l’immunità e, con essa, la cura per l’umanità. Ci viene narrato il loro viaggio per raggiungere le Luci, un’organizzazione clandestina che si oppone alla F.E.D.R.A., unico governo esistente dopo la fine del mondo conosciuto, e che sembra la sola intenzionata a cercare a tutti i costi un modo per tornare a far stare bene un’umanità ormai perduta. Ed è così che in un apparente classico miscuglio fra “road movie” e “buddy movie”, lo spettatore inizia lentamente ad affezionarsi agli sbuffi scontrosi di Joel e alle terribili battute di Ellie, fino ad accorgersi di ciò di cui davvero “The Last Of Us” è portatore: un messaggio ben più profondo, una storia molto più umana e reale di quanto ci si possa mai aspettare.

L’obiettivo è trovare una cura in un mondo che è già caduto a pezzi da tempo per l’infezione da Cordyceps, un fungo che parassita gli esseri umani tramite morsi e viticci, facendoli impazzire e diventare creature umanoidi più simili a predatori naturali che altro. Inoltre, è curioso sapere che tale fungo, seppur ovviamente con effetti e forme di contagio completamente diversi, esista anche nel nostro mondo, rendendo il fantascientifico più plausibile di quanto non lo sia mai stato. È importante sottolineare la natura degli infetti, belve feroci, che però lentamente, nel corso delle puntate, svaniscono gradualmente, fino a non comparire più nemmeno per caso, per lasciare spazio ad altri mostri ugualmente o persino più pericolosi: gli esseri umani. Cedono il palco alla vendetta di Kathrine, una donna determinata a giustiziare coloro che hanno causato la morte del fratello a qualunque costo, anche quando le era stato detto proprio dallo stesso di non farlo, se pur ciò porterebbe all’annientamento della sua gente; alla spietatezza del soldato che uccide a sangue freddo Sarah, la figlia di Joel, assassinata non da uno dei tanti mostri, ma da uno dei pochi umani; alla viscidità di David, un ex maestro che ora a prima vista sembra un leader carismatico e un predicatore rassicurante, che però sotto tutto questo nasconde un’anima viscida e pericolosa, tenuta al guinzaglio probabilmente a fatica fino a che non ha finalmente avuto il pretesto di lasciarla libera di compiere atti anche peggiori dell’omicidio nei confronti delle povere vittime capitategli sotto tiro. Gli infetti, di fatto, non sono soltanto un pretesto, così come l’apocalisse, per raccontare una storia di umanità, in tutti i suoi lati più belli, ma soprattutto in quelli più controversi e primitivi? Non è forse per questo che la “scena della giraffa”, com’è stata soprannominata da migliaia e migliaia di spettatori, è riuscita a commuovere a tal punto?

Una scena così semplice, ma che le circostanze rendono estremamente complessa. Essa infatti arriva in un momento in cui Ellie compare spenta, privata del candore puro e cieco della speranza a cui aveva abituato gli spettatori, mostrando nient’altro che preoccupazione e un raggelante silenzio e spingendo i due avventurieri a scambiarsi di ruolo per qualche minuto. Grazie a quel momento, Ellie sembra parzialmente ritrovare il buon umore, una cosa semplice per una qualunque altra ragazzina, ma non per una come lei, che non ha mai visto nulla del mondo precedente all’infezione, che ha lottato per sopravvivere fin dalla nascita e che è riuscita comunque a perdere tutto pur non avendo mai avuto niente; una ragazzina che aveva sempre e solo sentito parlare delle giraffe come di una leggenda, qualcosa di andato. Il suo stupore, la meraviglia nello scoprire che le cose vanno avanti e che alcune cose non cambiano mai, viste dagli occhi di Joel, ormai diventato nuovamente un padre, non possono che indurre a una commozione unica ed irripetibile. Il tutto si svolge poco prima di giungere al celebre finale, uno dei momenti più discussi della serie e, al tempo, anche della sua controparte videoludica, il che però non fa altro che confermare quanto esso sia riuscito perfettamente in quello per cui era stato concepito fin dal principio. Il finale di un’opera come quella che gli sceneggiatori Neil Druckman e Craig Mazin hanno proposto non poteva essere altro che aperto e divisivo, distruttivo per l’immagine dell’eroe che abbiamo trovato in Joel fino a quel momento. Lui cade quando sceglie di uccidere tutti i medici e i soldati dell’ospedale in cui è stata portata Ellie e, metaforicamente, l’umanità intera, per salvarla dall’operazione al cervello che l’avrebbe condannata ma che avrebbe aiutato il mondo a rinascere, per poi mentirle successivamente sull’accaduto. Perché in fondo, come anche afferma Marlene, capo delle Luci e cara amica della madre dell’immune, Joel sa che Ellie avrebbe voluto il suo sacrificio e che la sua immunità contasse alla fine del viaggio. Si sarebbe voluta sacrificare perché il suo essere rimasta viva davanti alla trasformazione della sua migliore amica, nonché la ragazza che amava, Riley, avrebbe acquisito un senso e si sarebbe liberata di quel sentimento schiacciante di inutilità che, anche se non ce ne accorgiamo prima della conclusione, lei ha sempre portato con sé e che, così facendo, continuerà a portare anche nei suoi giorni futuri. Bastano pochi secondi perché Joel si trasformi davanti agli occhi basiti di chi guarda; o meglio, si mostri in ciò che è sempre stato, ma stavolta nemmeno l’affetto che si è iniziato in un modo o nell’altro a provare per lui può accecare chi fruisce quelle scene a tal punto da non accorgersene o da poter fare finta di niente. Per la prima volta capiamo davvero che il protagonista della storia non è mai stato lui, ma Ellie. Ha agito bene o male? Questa è la domanda che risuonerà in testa agli spettatori non appena saranno arrivati ai titoli di coda. Alcuni non sapranno rispondere subito, altri non lo sapranno mai, ma è giusto così. Non c’è una risposta giusta o sbagliata di fronte al comportamento totalmente ed incondizionatamente umano di Joel, se non quella che “siamo sempre i cattivi, nella storia di qualcun altro”.

Autore

Silvia D'Audino

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