“MA IO SONO SOLO E LORO SONO TUTTI” – Dostoevskij e “Memorie dal sottosuolo”

Ci sono autori in grado di affondare con i loro romanzi nell’animo di noi lettori fino a lasciare in esso una ferita indelebile da cui difficilmente guariamo del tutto; tra questi Dostoevskij vanta una capacità inimitabile di sondare la psicologia dell’uomo, scandagliandone la mente nel dettaglio e illuminando le sue pulsioni più recondite. Era il 1864 quando sulla nuova rivista “Epocha” (in linea con la fila di feuilleton ottocenteschi) vengono pubblicati i primi episodi di “Memorie dal Sottosuolo”.

Nell’opera omnia di Dostoevskij, “Memorie dal sottosuolo” occupa un piano secondario rispetto ad altri suoi libri considerati più rilevanti e, spesso, più consigliati. Sebbene eclissato dalla fama che guadagnarono le successive opere, il romanzo ebbe un’influenza decisiva nel processo di maturità letteraria del suo autore, contribuendo alla fioritura di una nuova letteratura: quella esistenzialista.

Fëdor Michajlovič Dostoevskij condusse una vita senza dubbio intensa, ricca di numerose tribolazioni: le epilessie, il vizio del gioco, la morte dei figli e della prima moglie, la condizione di indigenza a lungo sofferta e non solo. Dopo aver scampato la morte (la mancata fucilazione revocata in extremis dallo zar è fra tutti uno degli eventi più eclatanti nella sua biografia) la sua condanna fu commutata in sei anni di lavori forzati in Siberia. Riammesso a Pietroburgo iniziò a dedicarsi alla stesura del romanzo che, per la prima volta, trasferiva il suo interesse dalla vita sociale dei personaggi alle riflessioni sulla loro interiorità. Il protagonista di “Memorie dal sottosuolo”, di fatto, inaugura una prosa nuova dello scrittore – da ora in poi ancora più cruda e cinica -, facendo da capostipite al lungo stuolo di antieroi negletti che resteranno nel tempo la cifra distintiva dostoevskiana. Dal tormento ossessivo di Raskòl’nikov al carattere complesso di Ivan Karamazov, tutti i suoi personaggi prenderanno spunto da questo romanzo declinando di volta in volta diversamente le sue premesse.

La narrazione è divisa in due parti che, seppur separate per argomento, risultano strettamente correlate tra loro. La prima è un prologo scritto sotto forma di monologo interiore molto più simile nei suoi elementi a un trattato filosofico. L’Io narrante si presenta da subito come un uomo astioso, sadico e appagato dalla propria volgarità; relegato nel suo angolo rifugge la società cui guarda con disdegno, punzecchiandosi nervosamente con la sua stessa malizia. È meschino, ma soprattutto brutalmente onesto con sé stesso: riconosce nella propria inettitudine la sua massima nefandezza. Non si concede alcun perdono ma si compiace della propria sofferenza che, d’altronde, è l’unica causa della sua consapevolezza (“L’uomo l’ama e non la scambierebbe con nessun genere di soddisfazione”). L’uomo del sottosuolo imputa ogni suo male alla propria coscienza ipertrofica: un uomo veramente cosciente non può avere il minimo rispetto per sé poiché il suo eccesso di consapevolezza – una malattia a tutti gli effetti – lo tiene avviluppato all’indolenza. Dostoevskij, come farà in tante altre occasioni, contrappone il nevrotico uomo del sottosuolo, l’uomo “di pensiero”, all’ “uomo d’azione”, colui che, sebbene privo di facoltà intellettive, ‘agisce’ raggiungendo i suoi agognati scopi. Se da un lato il protagonista beffeggia la mediocrità di tali uomini, allo stesso tempo li invidia profondamente per la loro capacità di operare anche nell’ignoranza (“Ma io son poi da solo e loro sono tutti”). Da ogni pagina echeggia ripetutamente la critica al cieco positivismo e all’eccessivo razionalismo, precipui, secondo lo scrittore russo, della sua epoca, in particolare nel mondo occidentale.

La seconda parte – intitolata “a proposito della neve fradicia” – è quella più narrativa in cui il protagonista, attraverso una serie di rievocazioni, racconta alcuni aneddoti della propria giovinezza. Dall’incontro con alcuni vecchi compagni di scuola alla vigliaccheria con la quale offese una prostituta, ogni ricordo sfocia in epiloghi sempre risibili che svergognano l’uomo nella sua vanità.

L’originalità del romanzo in effetti è già tutta nel titolo, ovvero nel Sottosuolo. Quel sottosuolo che per noi oggi è il luogo nascosto nei recessi della mente umana: l’”inconscio”, come arrivò a definirlo solo più tardi Freud. Dostoevskij non scrisse solo in anticipo sulle future scoperte neuroscientifiche, ma spianò anche la strada alle teorizzazioni nietzschiane introducendo concetti come quello di “Oltreuomo”.

“Per quel che poi riguarda me personalmente, nella mia vita ho solo portato alle estreme conseguenze ciò che voi non avete osato condurre neppure a metà, prendendo oltretutto per buonsenso la vostra viltà, e consolandovi così, ingannando voi stessi. Sicché io, forse, ne esco ancor “più vivo” di voi”.

Affilata quanto una lama la penna di Dostoevskij, scevra di ogni sentimentalismo o moralismo, al tempo stesso ci lacera e ci conforta. Ci sentiamo accusati e spogliati delle nostre sicurezze fino ad infastidirci con i personaggi che, senza riguardo alcuno, ci rivelano quello che non vogliamo sentirci dire. Ogni frase del romanzo sconquassa la nostra emotività e così iniziamo a indagare anche noi i nostri lati oscuri, scoprendoci in essi, alla fine, più umani.

Autore

Valentina Gentile

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