IL CONFORMISMO – Coffee Augusteo

Nel 1970 durante il programma televisivo “Bau bau” il noto intellettuale Umberto Eco definì il conformismo come “l’osservanza di alcuni modelli che la società ci dà”. Inoltre, specificò che alcuni di questi “modelli” sono validi come il codice stradale mentre altri sono passeggeri come la moda del momento. Infine affermò che il vero anticonformista dovrebbe contrapporsi agli ideali conformisti denunciandone la falsità.

Nel 1996 Giorgio Gaber pubblicò il brano “Il Conformista” criticando con versi aspri e pungenti la società conformista di quegli anni. Nelle strofe 5-8 si fa riferimento alla natura indecisa del conformista vista nella sua piena inconsistenza, come quella di un pallone che rimbalza; insomma egli è un mediocre che sta sempre dalla parte della maggioranza, o meglio, della convenienza. Questa mediocrità del conformista si nota chiaramente nel verso seguente: “Poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato”.

Inoltre, è interessante che Gaber definisca il conformista “nuovo” sia nell’incipit che alla fine del brano. La novità risiede nel continuo mutamento di opinione, in altre parole, in quell’instabilità politica e sociale che ancora oggi persiste.

Il conformismo infatti è insito nella nostra cultura, basti pensare al fatto che non avere i social equivale, sopratutto se si è giovani, a rimanere tagliati fuori dal mondo dell’informazione. Quando si discute sui social esistono due pensieri antitetici: c’è chi li considera una perdita di tempo e c’è chi li rende il centro gravitazionale di tutta la sua vita, a tal punto da far coincidere la realtà con il mondo virtuale.

Seguendo, allora, ad litteram la definizione di Eco, l’anticonformista dovrebbe proporre un’amministrazione di questi strumenti, affinché non siano né dannosi né inutili. Dunque il conformismo è un modus et cogitandi et faciendi in base al quale si mettono etichette sulle cose senza porsi delle domande sulla loro natura.

Persino nel giornalismo si tende a semplificare i fenomeni con titoli esagerati che oltre a far notizia non lasciano niente nei lettori, e i rari giornalisti che tentano di entrare nelle questioni a fondo, vengono messi in un angolo a tacere per sempre.

Il “politically correct”, ad esempio, è un’altra nuova forma di conformismo che, per non offendere attraverso un linguaggio diretto alcune categorie di individui, limita la libertà d’espressione. Infatti viene anche chiamato conformismo linguistico. Un film che lo adotterà sarà il nuovo adattamento della fiaba di Biancaneve in cui i sette nani non saranno presenti, perché per questa modalità di comunicazione la loro presenza rappresenterebbe uno scherno nei confronti delle persone affette da nanismo, e la protagonista si risveglierà da sola dall’incantesimo della mela avvelenata, perché le donne nel XXI secolo non hanno più bisogno di uomini che le svegliano come per magia con un bacio; questo esempio fa capire la natura orripilante di questo conformismo della parola.

Forse, invece di mettere etichette, di limitare la libertà d’espressione per non scadere nell’offesa, si dovrebbe dare spazio al dialogo, sicuramente più salutare per la nostra società.

Autore

Giorgio Manozzi

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