Atto secondo: L’inferno dei fiori.

Buongiorno gente!

Oggi voglio parlare del secondo festival, un qualcosa a mio parere molto peggiore del Fyre Festival, che ha sconvolto il panorama musicale dell’epoca, tanto da essere definito come “il giorno in cui gli anni Novanta morirono”: Woodstock ‘99. Ma come mai quest’ infamia e questa così pessima nomea? Qui verrà spiegato tutto.

Tenuta tra il 23 e il 25 luglio 1999, Woodstock ‘99 doveva essere la celebrazione del trentesimo anniversario del celeberrimo festival di Woodstock, e voleva ricreare l’atmosfera di pace, amore, armonia e comunione con la natura del suo predecessore: infatti, come Woodstock ‘69 venne ambientato in una fattoria, l’edizione del ‘99 venne tenuta in un ex aeroporto militare – la Griffiss Air Force Base – della città di Rome, NY, usata nella Seconda Guerra Mondiale e considerata pericolosa nel 1984 in quanto sito di attività radioattive, e conseguentemente abbandonata. In questa base, grande circa quattordici metri quadrati, per ricordare la natura che ebbe un ruolo fondamentale nell’edizione del ‘69, vennero lasciate intatte quelle microscopiche aiuole che contenevano alcuni scarsi fili d’erba. Per rendere un’idea di quanto fosse poco accogliente il posto, basti sentire le dichiarazioni di Kevin “Noodles” Wasserman, frontman dei The Offspring: “Una volta abbiamo organizzato un festival a Norimberga, in una sala costruita per le riunioni del Partito Nazista. Quindi sappiate che un luogo letteralmente fatto costruire da Adolf Hitler in persona era più accogliente di quest’aeroporto militare.” L’organizzazione ancora una volta si dimostrò il problema principale, ma stavolta non a causa di problemi logistici, ma del modello organizzativo alla base. Infatti gli organizzatori volevano capitalizzare il più possibile sull’esito del festival, forse per compensare il budget speso su cibo, bevande, location e artisti: infatti vennero assunti artisti celeberrimi e pagati ricchi compensi, come Ice Cube, DMX, Elvis Costello, gli Insane Clown Posse, i Metallica, i Limp Bizkit, i Jamiroquai e i Red Hot Chili Peppers, tra tanti altri. È per questo che vennero fortemente disincentivati i cibi portati dall’esterno (in certi casi addirittura vietati), di modo da costringere il pubblico a comprare il cibo servito a prezzi a dir poco eccessivi: basti pensare che una bottiglietta d’acqua veniva quattro dollari, una fetta piccola di pizza ne costava sette e una grande dodici. Questi aumenti esagerati causarono un’ondata di assalti ai supermercati di Rome per cercare di introdurre “di contrabbando” beni alimentari all’interno del sito, comparabili forse a quelle che noi abbiamo visto nei primi giorni di lockdown, se non addirittura peggio. E tutto questo da calcolare insieme ai biglietti d’ingresso da oltre 150 dollari.

Arrivò il giorno, e arrivò anche il grande pubblico: e che pubblico! Più di 220.000 persone arrivarono alla base aerea, rendendo Rome per qualche giorno la terza città più popolosa dello stato di New York, e causando una tale congestione di traffico da causare ingorghi da circa cinque chilometri e mezzo. Il concerto iniziò sotto un’ondata di caldo che risultò essere la più afosa dell’anno, aggravata dalla location scelta per l’evento: cosa che rese ancora più disperata la necessità di acqua, e non tutti erano disposti a pagare quattro dollari per una bottiglietta. Per costoro non c’era di che disperarsi, perché all’interno della base c’erano fontanelle gratuite e facilmente accessibili… almeno sulla carta. Nella pratica la coda per le fontanelle fu troppo grande per poter essere sostenuta, con file di ore e ore per poter bere un sorso d’acqua gratuita e fontanelle posizionate l’una a circa un chilometro dall’altra, lontano dai palchi. Però almeno il primo giorno l’acqua era pulita: dal secondo giorno in poi infatti i bagni chimici (già cinquantamila in meno di quelli previsti per l’evento) posizionati per tutto il sito si intasarono, facendo confluire tutte le deiezioni nel flusso di acqua delle fontanelle e delle docce, risultando nella polluzione dell’unica sorgente di acqua gratuita all’interno del festival, e anche nell’inabilitazione delle esigue docce – cento in totale, cinquanta per sesso. Il risultato di tutto ciò fu un orrendo miscuglio di feci, urine, acqua e sudore che fuoriuscì dalle fontanelle rotte, causando inondazioni e paludi all’interno del sito. Le condizioni non erano certo aiutate dalla pulizia generale del luogo in quanto, data la scarsa paga dei netturbini e il loro conseguente licenziamento poco prima dell’inizio del festival, i secchi della spazzatura si riempirono rapidamente e la base venne ricoperta di scarti di ogni genere. E non vi era possibilità di uscita: vennero chiusi i cancelli e le varie porte d’ingresso, e il luogo, in virtù della sua natura di ex base militare, era circondato da mura con fili spinati, quindi non era nemmeno possibile scappare da lì.

Le droghe, la fame, la sete, la stanchezza e l’alcool corruppero l’ideale di amore libero che era propugnante all’interno del festival, causando numerose violenze: non solo risse, percosse e aggressioni, ma anche stupri e molestie di varia natura. Infatti numerosi uomini si approfittarono delle molte donne nel festival, che spinte dallo spirito di Woodstock e dall’alcool giravano nude, crogiolandosi in quei liquami precedentemente descritti. Però, come in tutti i grandi eventi, il meglio (o in questo caso il peggio) venne tenuto per ultimo…

L’ultima serata del festival fu la più famigerata, quella che passò alla storia come la copertina di tutta la distruzione che fu questa rassegna: infatti dopo tre giorni di fame, sete, sudiciume e violenze la gente era assolutamente esasperata, e non ce la faceva più. La causa di quello che successe in seguito, non si sa: alcuni attribuirono la responsabilità del tutto ai Limp Bizkit, che con la loro canzone Break Stuff avrebbero incitato – anche con un discorso urlato dal frontman Fred Durst – a devastare il luogo e a dare libero sfogo alla propria rabbia; alcuni invece incolparono la sicurezza, incompetente e incapace di fermare la furia dei festanti; altri ancora l’organizzazione, per aver permesso che tutto ciò succedesse e per aver reclutato i membri della sicurezza su base volontaria, con pochissimi effettivi addestrati alla repressione di sommosse o al contenimento di una folla così grande. Ciò che invece si sa è che durante l’ultima serata di concerti le violenze e gli stupri aumentarono esponenzialmente, a un livello divenuto insostenibile. E la situazione raggiunse il suo punto più basso durante l’esibizione dei Red Hot Chili Peppers, specialmente durante la performance di Under The Bridge: infatti durante questa canzone alcuni attivisti dell’associazione pacifista PAX distribuirono candele accese ai partecipanti, come parte di un flash mob organizzato per chiedere di imporre un maggiore controllo sulle armi negli USA. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, e i fuochi nati per esprimere un messaggio di pace vennero usati per causare incendi e distruzioni: in particolar modo il “peace wall”, un muro monumentale in legno decorato con alcuni graffiti raffiguranti slogan e simboli di Woodstock, venne abbattuto e il suo legno usato come combustibile per i vari incendi. E tutto ciò venne accompagnato dall’ultima canzone suonata dai Red Hot per commemorare l’anima di Woodstock ’69, il grandissimo chitarrista Jimi Hendrix: canzone chiamata appunto, per quegli strani scherzi che a volte gioca il destino, Fire. Dopo tutto ciò l’ultimo evento che era stato previsto, un DJ set suonato da Perry Farrell, venne cancellato, e il festival finalmente finì nella notte tra il 25 e il 26 luglio dell’anno 1999.

Il giorno dopo si contarono almeno settanta arresti, un morto, sette feriti gravi e decine di donne stuprate e macchine, case, autobus, camion, bancomat, torri audio e bancarelle vennero danneggiate e distrutte. In sostanza, questo evento venne ricordato dai giornalisti che lo documentarono come “la morte degli anni‘90”, “una ricreazione nel mondo moderno di Apocalypse Now” oppure “un inferno in terra”. L’impatto di questo disastro fu così grave che al giorno d’oggi non è solo ricordato come uno dei peggiori festival di sempre, ma questa fu la demolizione completa del nome di Woodstock, tanto che il suo organizzatore e cofondatore Michael Lang promise formalmente di non organizzare mai più festival sotto quel nome: promessa che, sebbene avesse cercato di infrangere con l’organizzazione dell’edizione 2019 della manifestazione, venne costretto a mantenere a causa dell’infattibilità di quel progetto.

Voi cosa ne pensate? Quale dei due credete che sia stato più grave e devastante? Spero che questo articolo vi sia piaciuto, e che anche il prossimo lo farà.

Autore

Beniamino Gatto

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