EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE – Recensione di un Oscar

Vincitore di 7 Oscar, di cui 6 appartenenti alle categorie principali, nel 2023 il secondo film dei registi e sceneggiatori Daniel Kwan e Daniel Scheinert, soprannominati amichevolmente “The Daniels” dal pubblico, rompe il record del maggior numero di statuette vinte nella storia delle premiazioni Oscar, nonché nella storia del cinema, con “Everything Everywhere All At Once”. Uscito nelle sale italiane nel corso del 2023 e, in quanto produzione indipendente, distribuito poco e male, oltre che in ritardo rispetto al resto del mondo, in cui venne già distribuito nel 2022, il film non si è fatto intimorire da questi ostacoli e, lungo il percorso, ha scavato un solco che nessun’altra produzione quell’anno è riuscita a coprire. Come è possibile che una pellicola sui generis, strampalata, bizzarra, toccante, introspettiva, profonda, filosofica come questa sia riuscita nella scalata delle classifiche del pubblico e della critica, come poche volte era successo a film che partivano con un presupposto simile? La trama come punto di partenza. Attraverso tre capitoli con cui è strutturata l’intera storia, conosciamo Evelyn (peculiare e non casuale nome in assonanza con la prima parola del titolo). Evelyn è una donna di mezza età, moglie e madre sommersa da quelli che sono i “semplici impegni giornalieri”, come amministrare la lavanderia che è il negozio di famiglia e gestire i conti in vista dell’appuntamento con l’agenzia delle entrate, ma che consumano lei dall’interno, causa parziale del comportamento freddo che riserva alla figlia e la disattenzione con cui si rapporta col marito giornalmente. Uomo all’apparenza dolce e premuroso, capace di vedere il buono in tutto e rallegrare ogni piccolo gesto quotidiano con degli occhietti di plastica ballerini, Waymond è però pronto a chiedere il divorzio a sua moglie, stanco di sopportare una situazione per lui ormai diventata invivibile. Tutto cambia quando un giorno una versione del marito appartenente ad un’altra dimensione ne assume temporaneamente il controllo. Così Evelyn verrà catapultata all’improvviso in una storia che ha dell’incredibile e scoprirà qual è il compito che forse le spetta, ovvero salvare il multiverso e la propria famiglia insieme, da un essere capace di essere in ognuno di questi mondi nel medesimo tempo e fungere da agente del caos con il solo e unico scopo di trovare e far entrare in contatto ogni singola Evelyn vivente con un misterioso grande bagel nero. La lotta come premessa, la pace come chiave di lettura. Se si scava oltre una semplice e disattenta fruizione del contenuto e si passa ad una visione dettagliata del prodotto, difatti, il lungometraggio riserverà un’immediata ondata di archi evolutivi svolti e portati a termine magistralmente, a partire da quello della stessa protagonista. Lo spettatore avrà l’opportunità d’interfacciarsi, forse per la prima volta, con personaggi veri, tangibili e reali, in tutto e per tutto umani: basti solo pensare al legame fra i due coniugi, fra madre e figlia, fra donne “poco amabili” e, a visione conclusa, l’intera pellicola non avrà fatto altro che commuovere e smuovere all’interno dello spettatore qualcosa e, in alcuni casi, anche curare qualche ferita. Tematiche capaci di toccare le giuste corde come un musicista d’arpa, in modo semplice, delicato ed efficace, quelle più profonde e primordiali, declinate in maniere inaspettate e tanto vicine da risultare quasi presenti fisicamente ad ingombrare una poltrona del cinema accanto a te in sala o l’altra metà del divano nel tuo salotto. La depressione, il vuoto e la difficoltà di continuare in un mondo che non sembra offrirti niente sono il centro del film, ma allo stesso modo lo sono la gioia, l’importanza dell’amore e la ricerca, che come si sa porta alla fine ad una scoperta di un modo e una ragione per andare avanti, sempre e comunque, in qualche modo, in quella stessa vita che offre tanto dolore. Apprendere che non si è mai la versione peggiore di sé stessi, che non si sa mai cosa davvero è importante in un mondo in cui l’egoismo regna sovrano, di come imparare a riconoscer poi quelle stesse priorità, pian piano, passo dopo passo. I creatori del film ti porteranno per mano e ti faranno entrare in una stanza di cui tu avevi sempre e solo scorto la porta socchiusa, da lontano, di sfuggita. Ti ci faranno camminare, sedere e sdraiare, in attesa del momento in cui avrai la forza di rialzarti e uscire da solo. E cos’è questa, se non la vera espressione del “fare arte”? La ragione per cui ci si esprime in maniere inaspettate? Per cui l’essere umano ha imparato a farlo? Per cui lo perpetra con nuovi meccanismi ormai da un tempo immemore? Cos’è questa, se non la magia del cinema, nel modo più puro in cui codesta espressione può essere intesa e riscoperta ancora oggi? Cos’è questa, se non Arte? Cos’è questa, se non Vita?

Autore

Silvia D’Audino

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