Facce stanche.

Facce stanche, sull’autobus, in piazza, a passeggio la domenica. Nelle mattinate terse c’è troppa luce, nei pomeriggi uggiosi fa troppo freddo. Facce viziate, boriose, facce che guardano schermi luminosi immerse in una stanza buia. Facce con le occhiaie grigie, gli occhi opachi, le labbra all’ingiù come un pagliaccio triste. Facce, tante facce, tutte sedate, addormentate, infastidite, stufe.  Di lottare  forse?  di pensare? di svegliarsi la mattina e di addormentarsi la sera. 

Facce che non sfidano, non criticano, non ridono e non piangono. La suora in chiesa ha la faccia stanca, mentre trascina al collo le sue croci lignee e mormora pregando un dio in cui forse non crede più, la mia amica ha una faccia stanca, mentre fuma alla stazione e mi chiede perché il treno è in ritardo, la dottoressa ha una faccia stanca, mentre le chiedo se le pillole le devo prendere prima o dopo colazione. Mia madre ha una faccia stanca, mentre conta gli scontrini sparsi sul tavolo, mio padre ha una faccia stanca mentre torna dalla stazione col giaccone pesante.

Mi guardo allo specchio alla fine di una giornata identica a tutte le altre. Il riflesso della mia faccia. Una faccia stanca.

Quanto sarebbe bella invece una faccia incollerita, o magari stupita, o perché no disperata. Quella nello specchio non è la mia faccia. Provo a togliermi dalle labbra il broncio, a  strapparmi via quell’espressione vuota, quel naso arricciato, disgustato, tento di spalancare gli occhi per fare entrare un po’ di luce. Mi ritrovo in piedi in camicia da notte nel mio bagno a fare smorfie come una maschera greca. Perché tutti mugugnano ma nessuno si arrabbia? Perché tutti sussurrano ma nessuno urla? Perché tutti svuotano ma nessuno riempie? Perché siamo tutti cosi stanchi?

Autore

Giulia Mingozzi

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