Intervista a Luciano Violante – Giustizia e mito tra Antigone ed Edipo Re

D: Dal momento che abbiamo parlato di tragedie come l’Edipo Re e l’Antigone, all’interno delle quali è fortemente presente una profonda base umana, ad esempio il rapporto con l’aspetto dionisiaco e il concetto della catarsi elaborato da Aristotele, le volevo chiedere in che modo essa si sviluppa nella
prospettiva della giustizia.

R: La tragedia è un luogo pedagogico in Grecia. Pericle stabilì che i poveri potevano non pagare il biglietto per accedere alle tragedie per un fattore educativo; quindi, innanzitutto, bisogna collocarsi in quest’ottica, ovvero quella della rappresentazione tragica come un momento di apprendimento dei valori della comunità. Le due tragedie che hai citato, l’Antigone e l’Edipo re, ruotano attorno al tema della giustizia. La prima attorno ai problemi di chi governa, e ai problemi del cittadino: Antigone è il “polites”, Creonte il governante. E come far incontrare questi temi? La tragedia scoppia perché questi non lo fanno.
L’Edipo re presenta il tema dell’imprudenza, Edipo difatti istituisce un processo senza aver compreso che è lui stesso l’assassino. Quindi le tematiche sono le seguenti: il rapporto tra la comunità e il singolo; fino a che punto è giusto contestare il principio della regola; fino a che punto è giusto imporre la regola sul cittadino, per l’Antigone. Per l’Edipo re è lo stare attenti ad aprire un conflitto di cui non si può conoscere la conclusione.

D: L’Antigone ha come centro tematico il conflitto tra le “agrapta nomina” e il “nomos poleos”, ovvero tra le leggi non scritte della tradizione aristocratica e quelle riconosciute dalla città. Nel mondo moderno, quali sono le cause di tale inconciliabilità?

R: Innanzitutto voglio far presente che il filosofo dell’imperatore Giuliano scrisse che le leggi non scritte sono eterne, poiché non possono essere modificate; quelle scritte invece mutano. I principi morali, che fanno parte delle leggi non scritte, valgono sempre nel tempo, ma non possono essere imposti. Bisogna stare molto attenti a coloro che pretendono di porre principi etici per la legge, così nasce infatti l’autoritarismo. Il principio morale è slegato, ma non indipendente, dalla forza della legge, e si impone dal momento che è giusto e il popolo lo condivide, non perché essa lo assicura.

D: Lei ha anche parlato di indifferenza prendendo come esempio due quadri di Bruegel. Questa sembra essere già riscontrabile all’interno della tragedia; lo era anche nella realtà di allora?

R: Che io sappia, no. L’indifferenza non è presente, poiché la comunità attiva nella città greca è piccola, composta di soli maschi adulti. Dal momento che la tragedia è un fattore pedagogico ed educativo, tutti i fatti rilevanti vengono direttamente riportati in essa, ma ne abbiamo solo una piccola parte. Molte cose sono state perdute, e altre le conosciamo grazie a testimonianze indirette, quindi per quello che io ricordi, l’indifferenza non è un tema della tragedia greca, dal momento che la “polis” è un’entità di cui far parte, legata alla grandezza della comunità, alla molteplicità dei soggetti che vi si muovono all’interno e al principio di convenienza. Ciò che non ci conviene conoscere non lo conosciamo. Ciò che non ci conviene sapere, evitiamo di saperlo. Questo perché la conoscenza può produrre un dolore maggiore.

D: Posso prendere come esempio ciò che è successo recentemente con le elezioni regionali: quando lei ha parlato di indifferenza, mi è venuta in mente la scarsa affluenza alle votazioni, che era già stata anticipata dall’altrettanto esigua partecipazione alla formazione del nuovo governo. Cosa ne pensa in merito?

R: L’astensionismo non è frutto dell’indifferenza, ma dell’incapacità del ceto politico-dirigente di richiamare i cittadini a temi di interesse generale. Nel momento in cui penso che sia in corso un mero litigio o una corsa per esercitare il potere, automaticamente non me ne interesso. Il problema di fondo è che a partire dagli anni ‘80 vi è stato un processo di statalizzazione dei partiti politici, che sono passati dall’essere componenti di una società, all’essere parte dello Stato. Ora, grazie ai sistemi elettorali che hanno premiato la vicinanza al capo, non si è più capaci di rappresentare qualcosa o qualcuno. Tutto questo ha come reazione ‘io non vado a votare’. La responsabilità non è di chi non vota, ma di chi non ha creato i meccanismi di partecipazione.

Autore

Redazione (intervistatore: Simone Di Pinto)

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