Nel contesto dell’autogestione, abbiamo avuto il privilegio di intervistare Paolo di Paolo, rinomato scrittore, drammaturgo e saggista considerato tra le punte di diamante della nuova scrittura italiana. Nato a Roma nel 1983, Paolo ha alimentato la sua passione per la scrittura fin da giovanissimo. La sua carriera è stata segnata da numerosi successi, tra cui la partecipazione alle finali di importanti competizioni letterarie nazionali e la pubblicazione dei suoi romanzi anche all’estero in lingue straniere. Durante la sua visita nella nostra scuola, Paolo ha tenuto un discorso appassionante su Italo Calvino, autore che ammira profondamente. Quindi, se siete interessati alla vita di Paolo oppure ad approfondire i suoi pensieri sulle opere di Italo Calvino, vi invitiamo a leggere la nostra intervista.
D: Cominciamo facendo qualche domanda personale: cosa ti ha spinto a scrivere? Come si è articolata la tua carriera? Quella per la scrittura è una passione che si è sviluppata a scuola o dopo aver finito il tuo percorso di studi?
R: Beh, sin dall’infanzia ho nutrito una forte passione per il disegno, sia durante la scuola primaria che quella media. Se mi avessero visto da bambino, avrebbero notato quanto tempo passavo a disegnare, a creare giornaletti, a imitare illustrazioni. Era un’ossessione quasi totale. La passione per il disegno mi ha portato inizialmente al mondo dei fumetti, poi mi ha traghettato verso i libri illustrati e, infine, ai libri senza immagini. Ciò che più mi affascinava nei fumetti era l’unione delle illustrazioni al testo: che si trattasse delle strisce dei Peanuts, dei fumetti Disney o di qualsiasi altro prodotto, ciò che più mi colpiva era la capacità di creare una storia attraverso immagini e parole; sebbene sembri paradossale, credo che sia proprio questo che mi ha appassionato alla lettura di libri completamente privi di illustrazioni: quando le figure sparivano, c’erano delle immagini mentali che agivano, delle immagini che io stesso creavo. Proprio la lettura mi ha permesso di comprendere che la mia vera passione era la narrazione, fosse essa espressa attraverso il disegno o la scrittura. I primi tentativi di provare a raccontare una storia sono avvenuti verso la fine della scuola primaria, in particolare mi ricordo di un libro che avevo immaginato, chiamato “La mucca volante”; anni dopo, quando avevo già trent’anni, ho lavorato alla scrittura di questo libro, proprio come l’avevo pensato da bambino ed è stato pubblicato. Durante gli anni del liceo, ho avuto la fortuna di incontrare insegnanti che hanno riconosciuto il mio talento e mi hanno incoraggiato. Questo mi ha dato la sicurezza che la mia passione per la scrittura non fosse solo un capriccio giovanile, ma qualcosa di vero e riconosciuto anche dagli adulti. Dopo il diploma, durante l’estate successiva ad esso, ho deciso di provare a scrivere dei racconti e li ho inviati al Premio Calvino e al Campiello Giovani. Essere finalista in entrambi i concorsi mi ha fatto capire che, forse, avevo qualche freccia al mio arco.
D: Parliamo un po’ di Italo Calvino: hai menzionato l’importanza di avvicinarsi a Calvino sia per gli aspiranti scrittori che per i giovani in generale. Cosa pensi che dovremmo prendere da Calvino? E quali libri consiglieresti per avvicinarsi a questo autore?
R: Durante il nostro recente incontro nel contesto dell’autogestione, abbiamo discusso molto dei contenuti delle opere di Calvino, ma credo che dovremmo porre maggiore enfasi sulla sua forza stilistica. Il suo lavoro sullo stile e la trasparenza della lingua è notevole, crea un italiano vivido e facilmente traducibile in altre immagini e forme linguistiche. Questo aspetto è stato centrale nella sua carriera, soprattutto negli ultimi decenni. Perciò, perché leggere Calvino? Prendiamo ad esempio “Palomar”, un’opera caratterizzata da uno stile formale impeccabile, vividamente descrittivo ma, nonostante ciò, accessibile e coinvolgente. Questo potrebbe essere un motivo sufficiente per avvicinarsi a lui: per avere un modello di italiano contemporaneo e di grande qualità. Per quanto riguarda da dove iniziare, credo che ci siano molte piste alternative. Personalmente sono stato colpito dal racconto di un genitore di uno studente, il quale mi ha raccontato che suo figlio ha trovato “Le città invisibili” molto più interessante del classico “Il barone rampante”: anche se quest’ultimo viene venduto come un semplice libro per ragazzi, la sua profondità filosofica è completamente fuori asse rispetto all’etichetta; “Le città invisibili” è completamente diverso, è caratterizzato da brevi testi descrittivi che invitano il lettore a immaginare e riflettere. Questa brevità e la capacità di combinare le descrizioni delle città nella mente del lettore lo rendono un libro estremamente contemporaneo, nonostante sia stato scritto più di cinquant’anni fa.
D: Perché hai scelto di fare un discorso proprio su Italo Calvino? Quali sono stati i suoi libri che hanno avuto un maggiore impatto nella tua vita?
R: Beh, per quanto riguarda il discorso, in realtà è stata una richiesta proveniente dai vostri compagni di classe, che hanno proposto l’argomento soprattutto in occasione del recente centenario della nascita di Calvino. Potrà sembrare banale, ma, da ragazzo, “Il barone rampante” ha avuto un impatto molto significativo su di me, anche se forse all’epoca non ho compreso il suo significato e l’ho interpretato erroneamente come un libro perfettamente adatto a lettori della mia età. Rileggendolo successivamente ho finalmente capito appieno il suo messaggio. Tra i libri che mi hanno colpito di più, oltre al sopracitato “Le città invisibili”, ci tengo a menzionare “Palomar”, che è l’ultima opera scritta da Calvino. Questi libri sono particolarmente interessanti perché combinano una narrazione coinvolgente con un’analisi profonda del mondo che ci circonda. Si potrebbe dire che abbiano anche una dimensione politica, nel senso che ci spingono a interrogarci sul nostro ruolo di osservatori del mondo e sulle nostre responsabilità.
D: Nel tuo discorso hai menzionato il tuo interesse per “Il castello dei destini incrociati”. Potresti approfondire questo punto?
R: Certamente. Quello che mi ha colpito in particolare in opere come “Il castello dei destini incrociati” è la sensazione di essere coinvolto in una moltitudine di storie che si intrecciano l’una con l’altra. Calvino sembra consapevole di questa caratteristica e ci gioca sopra. Questo mi ha fatto riflettere sul ruolo del lettore e sulla sua interazione con l’autore. Nel discutere di opere come questa, mi viene in mente un termine che abbiamo menzionato durante la nostra conversazione: “combinatorio”. Questo aggettivo, che deriva da una certa stagione della letteratura europea del Novecento, si riferisce agli esperimenti avanguardisti che si basano sulla creazione di storie che si intrecciano e si ricombinano continuamente. È come essere coinvolti in una partita a carte, dove il lettore non è solo uno spettatore, ma diventa anche un narratore che riorganizza e reinventa ciò che legge. Calvino sembra suggerire che il vero autore di una storia non sia lui, ma il lettore stesso, è come se dicesse: “Se tu, lettore, non esisti, il libro non esiste. Leggere diventa quindi un atto di riscrittura, un modo per ricombinare le possibilità offerte dall’autore originale”.