Roger Thornhill è un agente pubblicitario, che si ritrova catapultato in un complesso intrigo in cui rischia la vita varie volte perché scambiato per un certo “George Kaplan”. Nulla andrà come previsto. Dopo uno dei camei più esilaranti del regista, ci si addentra nella vita del protagonista, fatta di vari impegni lavorativi e cene d’affari. Quando una pistola gli viene puntata addosso, questi mantiene la sua solita compostezza ed eleganza, nonché la sua immancabile ironia, e per tutta la durata della pellicola vi sarà un connubio meraviglioso di suspense, mistero e humor inglese semplicemente delizioso. Ma tra una battuta e l’altra, nelle varie espressioni corrugate di Cary Grant leggiamo tutte le tematiche tipicamente hitchcockiane, ossia: la confusione interiore dettata dall’essere scambiato per qualcun altro (presente anche nello spettatore); l’esasperazione per essere sempre distante dall’agognata verità; il complesso dell’uomo comune accusato di qualcosa che non ha commesso. Lo stesso vale per il personaggio di Eva Kendall, attraverso il quale il film raggiunge picchi di emotività non indifferenti. Nonostante la lunga scena di corteggiamento condita ad arte da dialoghi, situazioni irresistibili e varie peripezie, vi sono alcuni momenti in cui la maschera che il personaggio femminile è costretta ad indossare cade, lasciandoci percepire tutta la sua fragilità e il dolore per essere accusata ingiustamente dall’uomo che ama, come accadeva in “Notorius”, tematiche che Hitchcock sa maneggiare con maestria. Una patina di surreale avvolge tutta la pellicola, si susseguono sullo schermo infatti una sequela di paradossi.
Oltre al fatto che un pubblicitario si trovi coinvolto in un intrigo spionistico, in fatto di assurdità troviamo che la madre del protagonista (figura non così predominante nella storia come in altre pellicole del maestro del brivido, ma comunque divertente) non solo non si fida del proprio figlio ma, invece di difendere la sua reputazione, di fronte alla polizia si fa anche scappare qualche esclamazione pungente. Inoltre, la polizia stessa rappresenta un paradosso, poiché il protagonista non vede l’ora di farsi arrestare, tra l’altro per crimini non commessi, per sfuggire ai suoi inseguitori in una scena memorabile. L’opera risulta in ogni suo momento appassionante e imprevedibile. Imprevedibile perché non sai mai se poterti fidare dei personaggi secondari o meno, se questi rappresentino un intralcio fatale per gli intenti del protagonista o un aiuto per i suoi scopi. Ad esempio il bigliettaio in stazione, che riconosce il volto del protagonista ingiustamente incriminato, non esita un secondo ad avvertire le forze dell’ordine, mentre invece un addetto al trasporto delle valigie per un po’ di soldi è disposto ad aiutare il nostro eroe, dandogli la sua divisa e dicendo agli inseguitori che il ladro si trova da tutt’altra parte, permettendogli di seminarli. Il fatto che ogni personaggio, anche minore, si potrebbe trasformare in un potenziale aiutante o antagonista mantiene la tensione elevata. Similmente a quanto accade ne “Il Club dei 39”, la love story si svilupperà all’interno dei vagoni del treno dove il protagonista sta cercando di confondersi tra i passeggeri e di disperdere le sue tracce.
Molte sono le sequenze di antologia: l’attentato alla vita di Thornhill da parte di un aeroplano, preceduto da minuti interi di pura suspense; la fuga dalla casa d’asta, dove, per evitare di tramutarsi in cadavere, il protagonista è costretto ad attirare su di sé l’attenzione facendo offerte strampalate per varie opere d’arte; poi il geniale ed epico finale sul monte Rushmore, uno dei più strabilianti e adrenalinici pezzi di cinema di tutti i tempi. Un capolavoro assoluto dai magnifici titoli di testa disegnati da Saul Bass e accompagnati dalla colonna sonora di Bernard Herrmann, che aumenta ancora di più l’epicità del racconto, il cui finale è definito da Hitchcock come “il più impertinente che abbia mai girato”.