Il viaggio avventuroso di Seydou e Moussa racconta la storia di due giovani che lasciano Dakar per inseguire il loro sogno: raggiungere l’Europa. “Io capitano”, ultima pellicola di Matteo Garrone, ha riscosso successo in tutte le sale e gode già di molteplici riconoscimenti. Il percorso intrapreso dai ragazzi è lungo e pericoloso: dopo essere partiti dal Senegal, si dirigono in bus fino al confine tra il Mali e il Niger e da lì inizia la pesante traversata nel deserto del Sahara, un po’ a piedi, un po’ su jeep malsicure, fino al confine libico, luogo in cui subiscono cruente torture nei mostruosi centri di detenzione; dai ghetti multietnici di Tripoli, infine, i due giovani si imbarcano insieme ad altri migranti a bordo di un peschereccio arrugginito. Garrone racconta questa storia inserendo in essa alcuni particolari fiabeschi, trasformandola in “un’Odissea moderna”, mettendola così in relazione con un altro capolavoro cinematografico dell’omonimo regista: “Pinocchio”. Per i due giovani come per il burattino il sogno è “realizzarsi” altrove. Seydou e Moussa vivono in Senegal, un luogo pieno di tradizioni, un posto felice, dove la famiglia ha un ruolo importantissimo: ma allora perché i due giovani vogliono partire? E qui entra in gioco il secondo aspetto: se da una parte il Senegal è un luogo ricco dal punto di vista culturale, è anche estremamente povero di opportunità. Proprio questo porta i ragazzi a sognare un futuro di successo nella società moderna, sogno che vedono realizzabile in Europa, dipinta come un “paese dei balocchi”. Il viaggio per Seydou e Moussa risulta essere anche profondamente formativo: i due partono ingenui e impauriti e arrivano decisamente più maturi; a tal proposito, particolarmente significativa è l’ultima parte del viaggio, nella quale i protagonisti non sono più sé stessi come singoli individui, ma si immedesimano in tutti gli altri passeggeri del peschereccio che, come loro, sono partiti in cerca di speranza. Io capitano è un racconto ricco di peripezie, a tratti epico, che tuttavia è lo specchio della realtà attuale: si sente infatti parlare di numeri, statistiche, opinioni da parte dei politici, ma nessuno racconta che cosa provano le persone che ogni giorno lottano con la morte per arrivare nel posto che rappresenta l’alba di una nuova vita, quel posto chiamato Europa: il continente che è all’origine dei problemi ambientali e sociali dell’Africa Occidentale, che finanzia la corruzione dei suoi capi politici. E allora perché dire “aiutiamoli a casa loro” mentre in realtà si trama per la distruzione della loro casa? Il film è un campanello d’allarme, vuole svegliare la società addormentata dai media e corrotta dalle opinioni di chi manovra e guida in posizioni governative. La domanda che mi pongo è questa: era necessario un film per far sì che ci rendessimo conto di tutto questo oppure avremmo potuto comprendere interrogando la nostra coscienza?