LA FIAMMA DEL PECCATO – Recensione del celebre film di Billy Wilder

L’assicuratore Walter Neff giunge sanguinante e dolorante nel suo ufficio e si accinge a raccontare al dittafono la storia che lo ha portato a ridursi in quelle condizioni. Billy Wilder sin dall’inizio si concentra sui cinque sensi del protagonista, che filtrano la narrazione e lo guidano nel baratro preannunciato già nell’incipit. La vista del braccialetto attorno alla caviglia della seducente Phyllis e l’odore ammaliante del profumo nella casa della “dark lady” sono gli elementi che hanno il potere di sedurlo e di deviarlo dalla retta via. Allo stesso tempo è però interessante notare come mentre la vista e l’olfatto sono elementi soddisfacenti per il protagonista, il gusto nei momenti dell’appagamento dato dall’infatuazione non è mai davvero soddisfatto: ad esempio quando al protagonista, durante la sua visita a Phyllis, viene offerto un thè con del ghiaccio, egli esprime chiaramente il suo disgusto, dichiarando che un dito di rum avrebbe reso più piacevole la bevanda. Successivamente viene riproposta una situazione simile nel momento di massimo innamoramento tra i due personaggi, che vorrebbero brindare con dello champagne ma che dispongono solo di Whisky. Invece, mentre il personaggio principale è in preda alla solitudine, per non pensare alle paturnie sentimentali egli si concede fredde birre e cene in trattoria in grado di soddisfare il palato e di distrarlo dalla sua condizione amorosa. Questa asimmetria anticipa lo scontro inevitabile tra i due caratteri, che il pericolo dividerà sempre di più e che alcune rivelazioni sconcertanti metteranno l’uno contro l’altro. Partendo dal braccialetto intorno alla caviglia del luciferino personaggio femminile con sopra inciso il suo stesso nome e non quello di qualche persona a lei cara, è possibile intravedere il suo narcisismo e la sua incapacità di amare qualcuno al di fuori di sé stessa. Il protagonista, al contrario, è consumato dall’amore per Phyllis, e nell’attuazione del suo diabolico piano si sostituirà letteralmente al marito, prendendo il suo posto in maniera perversa, anche se, come la voce narrante ci spiega, non è l’amore l’unico motivo che lo spinge alla truffa, ma il desiderio di truffare il sistema senza essere scoperto. Volontà che aveva maturato da diverso tempo facendo il suo mestiere: in quanto assicuratore “conosce tutti i trucchi”. I due protagonisti tenteranno di realizzare il delitto perfetto e ad ogni scricchiolio del piano lo spettatore tremerà di conseguenza per paura che tutto possa crollare. È una continua corsa, un crescendo di tensione ininterrotto, un carosello di situazioni immerse in un clima paranoico e attanagliante. Il personaggio principale nel corso della narrazione avrà, per citare una sua espressione, momenti con i nervi distesi (come quando porta l’innocente personaggio di Lola a cena fuori), ma si tratterà solo di una sensazione temporanea, che lascerà spazio al frenetico ritmo della scena iniziale, che sembra soffocarlo in più di un’occasione. Emblema della perfetta suspense di cui gode la pellicola è la sequenza in cui l’immenso personaggio interpretato da Edward G. Robinson rivela la sua esatta ipotesi su come sia stato svolto il crimine non sapendo che il suo interlocutore è proprio il colpevole, scena che ritroveremo simile ne “Il delitto perfetto”, pellicola con molti punti di contatto con il noir in questione, tra i quali l’intenzione stessa dei protagonisti di entrambi i film esplicitata nel titolo del capolavoro di Hitchcock. A far crollare inesorabilmente l’intero marchingegno messo in piedi, non sarà l’arguzia dell’investigatore di turno, né sfortunati errori, ma la crudeltà della dark lady, che renderà il protagonista uno dei personaggi cardine del noir, poiché eternamente sconfitto e autodistruttivo fino al midollo. Film impetuoso e magistrale.

Autore

Jacopo Carosi

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