Tutti noi, soprattutto in quanto studenti del liceo classico, conosciamo bene la gloriosa storia di Roma, una perfetta macchina bellica che fu capace di creare un impero di ragguardevoli dimensioni grazie a uno degli eserciti più efficienti del mondo antico. Ma cosa significava veramente essere un legionario romano? Una delle risposte più efficaci e certamente toccanti di cui disponiamo oggi è rappresentata da una lettera rinvenuta in un papiro alla fine del XIX secolo in Egitto da due papirologi ed egittologi inglesi, Grenfell e Hunt. Il manoscritto venne presto dimenticato e abbandonato in un archivio per un secolo e mezzo, probabilmente a causa delle sue pessime condizioni, fino a che un dottorando dell’università statunitense di Rice non l’ha tradotto riportandone finalmente alla luce il contenuto.
Se ne riporta sotto il testo leggibile:
“Aurelius Polion, soldato della Legio II Adiutrix, a suo fratello Heron, alla sorella Ploutou, alla madre Seinouphis la panettiera e signora (?), tanti cari saluti. Prego giorno e notte che voi godiate di buona salute, e omaggio sempre tutti gli dei da parte vostra. Io non smetto di scrivervi, ma voi non pensate mai a me. Ma io faccio la mia parte scrivendovi sempre e non smettendo mai di stare vicino a voi con la mente e con il cuore. Eppure non mi scrivete mai per dirmi della vostra salute e di come ve la cavate. Sono preoccupato per voi, perché sebbene riceviate spesso lettere da me, non avete mai risposto, così non posso sapere come voi … mentre ero in Pannonia vi ho spedito (delle lettere), ma mi avete trattato come un estraneo … sono partito … e voi siete felici che (?) … l’esercito. Io non ho … voi … per l’esercito, ma io … sono andato via da voi. Vi ho mandato sei lettere … proverò a ottenere un permesso dal comandante e verrò da te in modo che tu possa capire che sono tuo fratello… Ho chiesto (?) niente a voi per l’esercito, ma vi ho delusi perché sebbene vi abbia scritto, nessuno di voi (?) … ha considerazione. Sentite, vostro (?) vicino … sono tuo fratello. Anche voi, rispondetemi … scrivetemi. Chiunque di voi …, inviate il suo … a me. Salutate mio padre Aphrodisios e mio (?) zio (?) Atesios … sua figlia … suo marito e Orsinouphis e i figli della sorella di sua madre, Xenphon e Ouenophis conosciuto anche come Protas … gli Aureli ai figli e a Seinouphis la panettiera..da (?) Aurelius (?) Polion, della Legio II Adiutrix … dalla (?) Pannonia Inferior (?) … Consegnata a Acutius(?) Leon(?), veterano della legione … da parte di Aurelius Polion, soldato della Legio II Adiutrix, affinché la possa inviare a casa.”
Il testo è alquanto lacunoso e dunque poco scorrevole e comprensibile in determinate parti, tuttavia è possibile ricavarne molte informazioni interessanti. Il mittente è un soldato egiziano di nome Aurelio Polione, inviato con la sua legione in Pannonia, regione corrispondente a una parte delle attuali Austria, Ungheria e Croazia. Nonostante l’assenza di chiari e diretti riferimenti cronologici, i nomi presenti nel testo e il riferimento a un “comandante consolare” di quella provincia hanno fatto pensare che la lettera possa risalire intorno al III secolo d.C. Era forse stanziato ad Aquincum, l’attuale Budapest, ma la sua legione era nota per essere molto mobile, motivo per il quale potrebbe essere arrivata anche a Bisanzio. Il testo originale è scritto in un greco semplice e non particolarmente elegante, molto influenzato dal latino e caratterizzato da frequenti e grossolani errori di ortografia; si deduce che il soldato fosse ovviamente alfabetizzato, cosa non scontata all’epoca, e che fosse multilingue, ovvero che parlasse greco o egiziano come lingua madre ed utilizzasse invece il latino per comunicare nell’esercito.
Si ipotizza che scrisse in greco poiché all’epoca non era uso inviare lettere scritte in egiziano, inoltre probabilmente i familiari non conoscevano bene il latino. Nonostante la frammentarietà della missiva, soprattutto nella seconda metà, è ben comprensibile con quale intento questo soldato l’abbia scritta. È facilmente percepibile la grande preoccupazione di Polione, lontanissimo da casa al servizio di Roma senza alcuna notizia dalla propria famiglia, con la quale forse aveva discusso. Anche se l’impero disponeva di un efficiente servizio postale, la comunicazione non era di certo semplice, ed è facile immaginare la fervente attesa per la risposta a una lettera ormai inviata da mesi: Polione ne mandò addirittura sei senza ricevere risposta. Cosa avrà mai potuto provare al solo pensiero che potesse essere successo qualcosa alla sua famiglia o che questa lo avesse dimenticato? La testimonianza di questo sventurato legionario è la prova di come dopo decine di secoli non siamo poi così diversi: ritroviamo la paura, l’apprensione e le preoccupazioni che ancora oggi costellano le nostre vite.
Proprio per il suo contenuto così intimo e personale la lettera, solo una delle molte ritrovate nella stessa epoca e stipate in grandi archivi, ha fatto il giro del mondo in pochissimo tempo, riscuotendo un notevole successo tra i lettori, forse affascinati dalla spontaneità e dalla concitazione delle parole del legionario, ormai divenute un monumento imperituro dei sentimenti umani, che accomunano uomini del III e del XXI secolo. Polione avrà mai ricevuto risposta dalla sua famiglia? L’avrà mai rivista? Non lo sapremo mai. Il finale di questa antichissima storia rimarrà avvolto nel mistero; possiamo solo augurarci che sia stato positivo e che il giovane soldato abbia ritrovato i suoi cari.