NINÌ – Ottava parte del racconto a puntate

Come una farfalla che con colori belli e inusuali, una fantasia sgargiante e complicata, vola via e vi cattura la mente — vorreste una polaroid con lo scatto preciso per cogliere il momento e tentate invano di farvi bastare l’immagine che rimane dietro le iridi, che avete paura possa scomparire nei recessi della memoria, tra le mille immagini che vi svolazzano intorno ogni secondo — così era per Ninì il ricordo di Amelia e del suo viso gentile dallo sguardo forte che aveva popolato, come l’acqua in un ruscelletto (ridendo e scherzando con le rocce, creando cascatelle e schizzando i piedi di chi lo attraversa) quell’anno della sua vita. Ora Ninì stava risistemando i secchielli che all’ingiù misuravano tutto il vialetto dal cancello alla porta di casa distanziandoli ancora. Era cresciuta di sette centimetri nel corso dell’autunno. La signora Camilla sedeva su una sedia blu a fare la maglia per uno scialle rosa con la fantasia a triangoli. Era gennaio, la rugiada lanciava abbagli di luce da sopra i fili d’erba. Era cresciuta alta e Ninì poteva scorrerci sopra la mano per sentire il solletico del bagnato e dell’appuntito. Durante l’estate aveva chiamato due o tre volte Amelia usando il telefono rosso in casa di Camilla. La voce sembrava lontana, era calda e gioiosa come al solito ma le parole uscivano a fatica e la conversazione si spegneva dopo pochi minuti. Ninì uscì, andò al parco e strappò tutte le erbacce ai lati dell’area giochi. Era difficile e ci voleva forza, il lavoro le impegnò tutta la mente e allontanò la voce di Amelia che perdeva interesse e si divincolava. Amelia non era riuscita a venire durante le vacanze invernali ma si chiamarono e se ne lamentarono per lungo tempo e Ninì si rallegrò di quella chiamata così affezionata di cui poteva custodire il ricordo e con cui si saziò per tutto il Natale, che fu abbastanza triste e lungo senza suo padre, che rimase a Milano (almeno lui poteva incontrare Amelia e suo zio, anche se non sfruttò la facile possibilità come Ninì avrebbe fatto). Quel giorno di gennaio finí presso il fuoco, la mamma che suonava e una sua amica che accompagnava con il canto. Ninì si addormentò e Camilla la portò a letto portandola in braccio. La stanza è buia, le stelle e la luna sono invisibili dietro una coltre nera di nubi e il materasso freddo accoglie tra le sue coperte rigide Ninì, che senza svegliarsi stringe la sua bambola con la bocca storta. Ricordo dell’anno trascorso sono due foto e i quaderni sparsi sul tavolo. Una è di tutta la classe e l’altra di lei e Amelia quel giorno al mare. In sogno riappare l’ombra della sua amica cui, come usava un tempo, racconta tutti i fattucci della giornata. Poi l’immagine si disfa ed entrano in fila indiana molti personaggi delle favole ma il coniglio somiglia a Camilla, un gatto è sua madre, farfalla è lo zio e cigno la cantante che sotto le scale continuava i suoi gorgheggi e nel sogno si ferma a intonare canzoni dirimpetto a un rospo, che è in verità il signore che vende i gelati nel parco, alcuni compagni di scuola imbronciati sono galletti. Pochi giorni dopo a Ninì viene fatto sapere che si sarebbe andati a trovare il padre al nord. Non vuole dirlo ad Amelia, cincischia quando Camilla le chiede il perché ma pensa di farle una grande sorpresa quando l’avrebbe spaventata davanti al cortile della sua nuova scuola. La chiama però. La sua celata gioia e ansia per il segreto ritrovo non le fanno pesare la telefonata breve. La strada per la scuola di Amelia è decorata ai lati da alti platani, le macchine ci sfrecciano sotto veloci e i passanti sono coperti dietro le macchine parcheggiate e si specchiano nelle vetrine dei negozi. Ninì, ora che Camilla era rimasta poco dietro a discorrere con la mamma, cercava tra gli zaini colorati usciti da un portone grande, entrata per un edificio rosso moderno e con tante finestre, i capelli pazzi, ricci e neri della sua amica, che aveva guardato in treno nel cielo, dove correvano delle rondini in massa, cercava il viso incorniciato da spaghetti elettrizzati mori, sicura che sarebbero spuntati fuori come un fiore tra le verdure, orgogliosi, e quasi già incominciava la corsa per raggiungerla e abbracciarla. Al collo aveva appesa una fotocamera nera con cui voleva prendere una foto istantanea da mettere sul comodino e guardare la sera assieme alle altre, le pesava sul collo mentre alzava lo sguardo per cercare con gli occhi la sua amica. Il suo sguardo però si fermò subito, senza faticare tanto, su di un gruppetto di bambine che si entusiasmavano per qualcosa che aveva la più alta, una bionda con un maglione peloso rosa. Lì notò Amelia, aveva i suoi pantaloni larghi e gli occhi che le brillavano ma Ninì si immobilizzò attonita e lo sguardo tinto di vago orrore alla vista dei suoi capelli: cadevano piatti, lisci, straziati in un modo innaturale. La sua amica bionda le complimentò la nuova piega e mostrò orgogliosa la sua nuova borsa, che Amelia si mangiava con gli occhi, e non era di Ribelle ma di un nuovo cartone in TV e i suoi capelli non si mossero quando reclinò il viso per ridere, mortificati nella strana piega, e a Ninì si serrò la gola e camminò per qualche passo indietro. Camilla la convinse a salutarla e Amelia le presentò le sue nuove amiche. La fotocamera però la ridiede indietro alla madre, perché la sua farfalla sapeva che sarebbe venuta come sfocata, senza più i suoi cuori sulle ali. Amelia, detto il nome della sua vecchia amica alle compagne, rimase vicina tutto il tempo a quelle e si scusò profusamente per avere interrotto i loro piani con l’arrivo di Ninì. Uno stormo di rondini passò sopra la loro testa, Ninì lo indicò estasiata e poi riabbassò il braccio perché le sembrò che la sua reazione fosse strana per le altre. Amelia si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e continuò a parlare della sua nuova principessa preferita, che non era più la stessa.

Fine

Autore

Anita Elsa Carosi

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