NINÌ – Settima parte del racconto a puntate

La casa nuova, di cui Amelia parlava, era ricoperta di specchi in vetro, lucida e sbrilluccicante all’esterno, era stata riempita con tutti i mobili lasciando il vecchio appartamento buio e caldo un po’ più buio e un po’ meno caldo. L’appartamento a Milano era molto in alto, dopo cinque piani, con i vari terrazzi dei vicini coperti di piante verdi e tende scolorite, un triangolino azzurro di cielo nella finestrella del ripostiglio che dà a nord e dunque ad uno spiazzo per un parco giochi delimitato da transenne e un’aria triste di abbandono. Amelia dovette andare avanti e indietro innumerevoli volte in treno per portare la mobilia e pacchi di vestiti e libri e Ninì pensava che, alla fine, anche queste ultime preparazioni per la partenza potevano diventare un ricordo dolce, con Amelia al ritorno che raccontava a velocità di una freccia, con gli occhi vivi e i capelli che seguivano baldanzosi i continui cambi di peso sulle gambe, le varie avventure sulla locomotiva dove spesso i pendolari guardavano storto la coppia zio e nipote così indaffarata con materassi e scatoloni pesanti che, aveva imparato, era meglio non portare appoggiandoli sopra la testa. Le nuvole seguivano in silenzio le loro avventure e chiaccherate, degli alberi gravidi di fiori troppo dolci e bianchi, i cieli delle infinite distese di una macchia blu correvano intorno all’ultima luna della loro amicizia. Si andò al mare; Ninì con un top rosa carne che la faceva apparire indifesa contro le sferzate di vento e una giacchetta blu, Amelia con un vestito corto da scolaretta, i capelli legati in cima che sembravano un pompon scarmigliato. Volò il cappello con le piume di Camilla. Le due bambine gli corsero appresso ma continuava a sfuggire e ridevano quando le mani acchiappavano l’aria e il cappello rotolava stancato dalla sabbia che sollevava. Finì all’inizio del bagnasciuga; al sole brillavano i capelli rosso sparato della signora Camilla i cui occhi, vividi e materni, da lontano guardavano i capelli miele di Ninì e il garbuglio di Amelia che sembrava uno stormo di rondini arrabbiato che fugge via. La sabbia scivolava dalle mani ruvida. Le mani asciugate non la trattenevano più, tra le dita scorreva seguendo il vento che solleticava l’aria. Amelia aveva imparato ad amare il forte odore di muschio che era emanato dai capelli rosso fragola di Camilla, il mare mischiava la sua brezza appesantita da un caldo umido incolore all’irruenza boscosa del viso dolce della signora. Il mare era ancora freddo da inverno e la sabbia bagnata pizzicava la pianta del piede con le conchiglie bianche e viola spezzate. Amelia saltò nell’acqua bassa e ne schizzò un poco sul petto di Ninì; avvicinando le dita bagnate alle labbra si sentiva la salsedine. A casa portarono venti conchiglie per la collezione di Amelia e poi andarono sulla giostra montata dentro il parco vicino casa di Ninì, dove davano i gelati nel chiostro, per l’inizio della stagione calda. All’inizio di giugno lo zio e Amelia salutarono Camilla e Ninì e si avviarono insieme verso la stazione. Era il giorno dopo la scuola e Ninì aveva paura delle vacanze, che si prospettavano molto più tristi e vuote rispetto all’anno trascorso. Le maestre avevano salutato gli alunni riconsegnandogli i disegni e le poesie di inizio anno; a Ninì stringeva il cuore non rivederle nella classe assolata pitturata di blu fino all’ anno prossimo, ma Amelia non aveva alzato così tanto chiasso anche se non le avrebbe riviste mai più. Era rimasta taciturna e solo due o tre compagni di classe oltre a Ninì seppero della sua prossima partenza. Più si avvicinavano al treno più una strana fretta e ansia saliva in petto a Ninì. Voleva abbracciarla stretta stretta e pregare dentro i suoi occhi neri di rimanere lì ma si sentiva un po’ impacciata, ancora insonnolita forse, l’odore del polline la stordiva, e si muoveva come il primo giorno, stropicciava le mani e si nascondeva dietro Camilla; come se tutti quei mesi di amicizia si fossero persi in un’ ultima mattinata dove nessuna delle due sapeva che dire. Quando si salutarono nella testa le giravano mille interrogativi su come affrontare il momento, se fosse troppo stritolarla e farla ridere prima di vederla salire sul treno. Timida si avvicinò e subito Amelia le saltò al collo e sopraffece Ninì l’odore della sua crema per le mani e della boccetta di profumo alle rose e i suoi capelli che aggrovigliati le solleticarono il viso. Promisero di usare il telefono di Camilla e dello zio per chiacchierare e un po’ confusamente Amelia propose di tornare a Natale. A Ninì rimase un piccolo rimpianto, come se non avesse fatto abbastanza e avesse riso troppo poco guastandosi il ricordo. Ninì guardò in su verso il sole appena svegliato. Uno stormo di rondini si ripiegava in cielo per accogliere alcuni uccelli rimasti isolati. Le rondini volavano spesso in quei giorni sopra la testa. Venivano da lontano per una lunga permanenza, ma quando alzavi lo sguardo e scorgevi gli stormi incontrarsi, dividersi e mischiarsi in volo creando circoli o spirali, con giochi di colori e prospettive sul blu del cielo, non potevi distinguere uno stormo che arrivava o uno che se ne partiva. Se eliminavi tutto il resto, il profumo nell’ aria, i fiori, quelli potevano sembrare pomeriggi autunnali e aspettare il caldo non aveva più senso e Amelia era già via da mesi e la casa era buia accanto alla scuola e le lezioni in classe erano vuote. Lo stormo le ricorda i capelli pazzi dell’ amica. Anche Ribelle ha i capelli così nel cartone animato e assieme a Camilla le due rivedono la storia alla televisione perché era il preferito di Amelia e lei si era lamentata di non poterlo rivedere quel giorno perché in viaggio. Ninì era sicura che l’anno dopo avrebbe rivisto le altre sue amiche di scuola e sarebbe andata a giocare con loro; erano simpatiche e gentili, alcune le conosceva da molti anni prima, quando andava nell’altra scuola; ma non erano Amelia. E non ci sarebbero state se non fino a settembre, quando sarebbe ricominciata la scuola e le giornate si sarebbero riempite di letture e compiti, quando avrebbe rivisto le sue maestre e gli alberi avrebbero preso a piangere in sintonia con le nuvole. Senza Amelia sarebbe stato più triste. Anche senza il suo cane nero. Quel giorno pareva che se ne fosse andato il sole per Ninì. Durante l’estate si cullò nei giochi solitari in cui era tanto esperta prima di quell’anno e tenne tra sé e sé mille discorsi.

Autore

Anita Elsa Carosi

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