Non un passo indietro: La Battaglia di Stalingrado

All‟inizio degli anni ’40, in un mondo devastato da una feroce guerra che ha già portato milioni di morti, l’avanzata dei tedeschi e dei loro alleati dell’Asse sembra essere inarrestabile. In questo periodo, dunque, sono combattute alcune battaglie che, fermando le conquiste tedesche, determineranno le sorti del conflitto: basti pensare a El Alamein, in Africa, un punto di svolta nella campagna del Nordafrica, Le Midway, nel pacifico, la vittoria americana sulla marina giapponese comandata dall’ammiraglio Isoroku
Yamamoto, ideatore dell’attacco del 1941 a Pearl Harbour, e infine la celebre Battaglia di Stalingrado, simbolicamente più importante delle altre perché combattuta fra la maggiore potenza dell‟asse, la Wehrmacht, e il più potente paese alleato, l’Unione Sovietica. Che la battaglia di Stalingrado sarebbe stata decisiva per l’esito della guerra era stato capito già allora e da entrambe le parti, Hitler lasciò i soldati tedeschi a morire nella steppa russa sebbene avesse ricevuto da parte dei suoi feldmarescialli numerose richieste di potersi ritirare e Stalin, allo stesso modo, conierà lo slogan “non un passo indietro”,
imponendo all’Armata Rossa un numerosissimo sacrificio di vite umane.
La lunga battaglia di Stalingrado è solo il culmine, però, dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, conosciuta come “Operazione Barbarossa”. All’inizio dell’invasione i tedeschi riscuotono successi, cadono numerose città sovietiche: Minsk, Odessa, Kiev, addirittura Leningrado è posta sotto assedio. La tenacia dell’Armata Rossa, tuttavia, insieme al gelido inverno russo, sgretolerà il più potente esercito che la storia avesse mai visto: quello della Wehrmacht. Lungo il Don e il Volga, due fiumi che fungevano da confine naturale tra la Russia invasa dai tedeschi e quella ancora in mano all’Unione Sovietica, le truppe dell’Asse
non erano distribuite equamente: all’altezza di Stalingrado, infatti, si concentravano le divisioni corazzate tedesche, mentre sul resto del fronte c’erano gli altri alleati come l’Italia, l’Ungheria e la Romania. Stalin e i suoi generali decidono dunque di contrattaccare, ma non a Stalingrado, dove la linea dell’Asse era solida, ma sui lati. Spostando lì le truppe, l’Unione Sovietica, schiacciò facilmente le potenze dell’Asse, perdendo però, anche se solo apparentemente, Stalingrado. I tedeschi si barricano nella città, non capendo, però, che quelle rovine sull’argine del Volga erano in realtà una trappola ordita dallo stesso Stalin.
Paradossalmente, a questo punto, si scambiano i ruoli: gli invasori diventano gli assediati, mentre coloro che erano assediati diventano gli assedianti. Il feldmaresciallo della 6ª armata, Friedrich Paulus, capisce che non c’è più nulla da fare quando ormai è tardi e, per quanto i tedeschi tentino una disperata resistenza, dopo meno di un mese di assedio, vengono definitivamente schiacciati. Il 2 febbraio 1943 la bandiera rossa sventola di nuovo su Stalingrado e questa battaglia passerà alla storia come l’inizio della fine della Seconda Guerra Mondiale.

Autore

Giulio Giagnoni

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