Song Machine Season One: Strange Timez: una modesta recensione

Il 2020, come sappiamo, non è stato un anno come gli altri, nel bene e nel male (soprattutto nel male): tra le proteste in Bielorussia contro il presidente Aljaksandr Lukašėnko, le rivolte antirazziste del movimento Black Lives Matter di quest’estate, e soprattutto la pandemia da Covid-19 che ha costretto il mondo al lockdown, il 2020 si può sicuramente annoverare tra le annate atipiche, per usare un eufemismo. È in questo bizzarro contesto che i Gorillaz, la band virtuale fondata nel 1998 dal cantante britannico Damon Albarn, già frontman dei Blur, e dal fumettista suo connazionale Jamie Hewlett, famoso per i suoi lavori come Tank Girl, hanno ideato il progetto intitolato Song Machine. Questo progetto è unico nel suo genere, in quanto ogni singolo viene rilasciato a cadenza mensile con annesso video musicale, e i brani, denominati “episodi”, di questa serie sono stati raccolti in un album, intitolato per l’appunto Song Machine Season One: Strange Timez, uscito il 23 ottobre.

L’album vanta una vasta gamma di collaborazioni: con artisti come Roxani Arias, Robert Smith dei The Cure, Elton John, JPEGMAFIA, Fatoumata Diawara, Octavian o lo scomparso Tony Allen non resta che l’imbarazzo della scelta. Musicalmente parlando tra le varie canzoni dell’album, coerentemente con l’eclettismo caratteristico di Albarn, non se ne troverà mai una uguale all’altra: infatti in quanto a generi i brani hanno numerose influenze, partendo dal new wave di Aries, passando per il synth pop di The Lost Chord, reminiscente del loro album del 2010 Plastic Beach; continuando con l’acid house di Opium per finire con l’afrobeat di How Far?. Sebbene, come si sarà notato, l’album non sia dotato della stessa congruenza stilistica tipica di lavori precedenti come The Now Now (2018) o Humanz (2017), tanto da essere considerato da alcuni non come un vero e proprio album ma piuttosto come una “raccolta di singoli”, la qualità di questo non ne risente affatto, anzi: un esercizio del genere mette in luce la capacità dei Gorillaz e di Albarn di muoversi tra i generi più vari, ma lasciando in ogni pezzo la propria impronta, un segno che ciò che si sta ascoltando sono effettivamente canzoni dei Gorillaz: evidentemente Albarn deve aver fatto caso alle critiche mosse contro Humanz, a cui era stata contestata la scarsa presenza dei Gorillaz rispetto ai collaboratori all’interno dei brani.

I testi, come le canzoni in sé, sono estremamente vari tra di loro: alcuni ci offrono un’analisi della vita nel 2020, e di come gli eventi di quest’anno l’abbiano condizionata, come il lockdown (Opium) e i disordini politici (Strange Timez); altri raccontano storie di vario genere (The Pink Phantom, PAC-MAN); altri ancora ci mandano messaggi d’ispirazione e ci esortano a rialzarci, non importa quanto grave sia stata la caduta (Friday 13th, Momentary Bliss), oppure ci propongono una riflessione sul lato non sempre preso in considerazione del mondo di Hollywood e sull’effettiva importanza delle ricchezze e della notorietà che questo mondo porta con sé (The Valley Of The Pagans, How Far?). In ogni caso ci si può aspettare, indipendentemente dalla canzone scelta, dei testi significativi non facilmente dimenticabili.

In conclusione, se qualcuno mi dovesse chiedere di rappresentare il 2020 con un album, sicuramente sarebbe questo: un anno molto vario e fuori dal comune merita di essere rappresentato con un album molto eterogeneo e nato da un concetto decisamente fuori dal comune come Song Machine Season One: Strange Timez. Tuttavia c’è una differenza molto importante: se questo album è un ottimo concentrato di musica dalla durata di circa un’ora, il 2020 è un disastroso concentrato di eventi dalla durata (ahinoi) di 12 mesi. Infine volevo chiudere con una citazione ad Opium, un’esortazione alla speranza di cui si ha molto bisogno in questi tempi così strani:

«Winter lasted for ages (L’inverno è durato per anni)

Trouble don’t last always (I problemi non durano per sempre)

Brand new life, turn the page (Nuova vita, volta pagina)

Be alright, be okay (Stai bene, stai a posto)».

Autore

Beniamino Gatto

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